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Il silenzio del ciribiri
© Panorama,
No. 7, 15 aprile 2000
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Se non si interviene, entro trentanni la
parlata è destinata a scomparire
Il silenzio del ciribiri
di Mario Simonovich
"Onorala auditore''. È sfata questa allocuzione, chiara nel' l'intento, ma
insolita, per noi, nell'articoluzìone, con cui si sono presentali all'uditorio i
relatori al Terzo convegno internazionale sulle lingue in contatto intitolalo
"Istroromeno ieri, Oggi e domani". All'appuntamento, organizzato dalla Facoltà
di filosofia di Pola con il coinvolgimento dell'Associazione culturale
istroromena "Andrei Glavina" di Trieste, erano presenti fra gli altri il
sottosegretario di Stato di Bucarest, Viorel Badea, e l'ambasciatore a
Zagabria, Constantin Ghirba, che ha letto un messaggio del presidente
Costantinescu, a riprova dell'importanza che palesemente la Romania assegna a
questa sua comunità "che è la più avanzata verso l'occidente d'Europa". Dopo un
giorno di lavori a Pola, i partecipanti hanno visitato Valdarsa e Seiane
(Zejane).
Se la forza sta nei numeri, per gli istroromenì la situazione
si presenta poco incoraggiante, a giudicare dai dati che ci illustra il doti.
Goran Filipi, preside della Facoltà di filosofia di Pola e dirigente i lavori
del convegno. "A Scabici, per fare un esempio, vivono, alla lettera soltanto
due abitanti, a Stankovci sei. Se si considerano anche coloro che sono in grado
di comprendere ma non di esprimersi in istroromeno e tutti gli emigrati, il
numero non può superare le 450 unità [?].
Personalmente ne ho contati un centinaio in quel di Zejane e un centinaio
nell'arca di Valdarsa. Un grosso problema per una maggior diffusione della
lingua è derivato in conseguenza dei matrimoni misti e dal fatto che i bambini
non la parlano. Molto più ferrati, sotto questo aspetto, sono gli abitanti di
quest'arca che sono emigrati in America dove hanno mantenuto il linguaggio."
Quali risultano ì cognomi più diffusi al momenlo attuale?
"Nell'area di Zejane quelli maggiormente presenti sono
quattro-cinque, fra cui prevalgono Sanković e Doričić. a Valdarsa. Belulović.
Degli originali è rimasto ben poco, tanto che si potrebbe dire che sono
ampiamente presenti fra la popolazione croata, come Katunarić e Licul, e ormai
quasi scomparsi fra la
popolazione da cui provengono, fatto che nel contesto comprova che
quest'ultima un tempo qui era diffusa su un'arca molto più vasta. La
riprova sta anche nelle tracce identificabili nella
toponomastica istriana: si veda ad esempio il ripetersi della parola 'katun', che definiva un certo tipo di abitato. O
ancora, nella parte meridionale di Veglia, nell'arca di Srkpčići, l'uccello
viene definito con la radice romena 'puljić', comprovante, a mio avviso che nel
loro movimento verso l'Istria sono passati da quelle parti.
Purtroppo gli andamenti attuali non
inducono all'ottimismo. Se non ci saranno inversioni di tendenza, entro
una trentina danni l'istroromeno non avrà più parlanti. Consola però il
fatto che la comunità oggi mostra di volerlo salvaguardare. Pertanto, a
mio avviso, volendo fare qualcosa in concreto, esso dovrebbe essere
insegnato nella scuola quale lingua facoltativa (il riferimento va a
Valdarsa perché se neppure a Zejane non c'è la scuola, la lingua risulta
comunque meno minacciata, anche perché la gente del posto ha un'attività
di relazione notevolmente più intensa) una-due volte la settimana, e
questo, si badi, non solo agli istroromeni. ma anche ai croati, come
avviene con l'italiano (se infatti fossero solo gli italiani a studiare il
croato e non viceversa, il bilinguismo sarebbe 'unilaterale' e dunque di
scarsissima utilità). Nel caso rumeno, in specifico, le possibilità di
recupero e conservazione delia lingua sarebbero nulle. Non va inoltre
sottovalutata l'importanza di una lingua che. seppur usata da un numero
molto esiguo di persone, è ufficialmente una delle quattro varianti
'storiche' del romeno."
Vi sono altre isole linguistiche romene in Croazia?
"No, per quel che ne so. Ce ne sono invece in Serbia, In
Vojvodìna a quest'etnìa è stato riconosciuto !o status di minoranza, al
contrario di quei suoi componenti - e il numero è molto alto - che sono
stazionati nell'area dì Majdanpek e Bor, dove vengono chiamati morlacchi. Dai
miei contatti con essi, che sono relativamente intensi, so però che sono
attivamente impegnati in tal senso."
Ci sono grandi differenze con la lingua parlata in Romania?
"La risposta è di necessità ambivalente. Semplificando dirò
che se non conosci quella, non puoi capire questa gente. Non basta però: per
capire devi conoscere di necessità anche il ciacavo. Il romeno 'vero' si è
arricchito nel tempo di molti grecismi e turcismi, qui assenti, mentre qui
l'idioma ha assorbito molti termini cìacavì e veneri ed è appunto questa
diversità subentrata nel corso della storia che impedisce una comprensione
completa fra i parlanti. Anche il lessico qui è relativamente ridotto, alla
luce, pure.
dell'assenza di una letteratura scritta. I! problema si pone
pure nell'ambito della scuola. La lingua 'ufficiale' ha suoni che qui si sono
persi per cui va definita la grafia."
Vi sono anche delle differenze in ambilo religioso: in Istria
sono cattolici, in Romania in prevalenza ortodossi...
"Tutti gli scritti li danno per cattolici fin dall'arrivo. Si
noti peraltro che in genere non si dichiarano romeni ma nei termini della
popolazione circostante. A Zejane (si veda ii censimento del 91) si dichiarano
in maggioranza croati, a Valdarsa prevale l'appartenenza regionale. Solo due-tre
hanno optato per il romeno. Interessante notare che fra essi è emersa anche
la tesi che si tratti di croati che vivevano in Romania e sono arrivati qui
quale 'avanguardia' delle migrazioni: un'altra teoria asseriva trattarsi dei
discendenti delle legioni romane e pertanto 'da sempre' qui presenti. Sono tesi
confutate dalla scienza: a mio avviso la più sostenibile è quella deila
migrazione nomade approdata qui passando per la Dalmazia. Si noti che i loro
termini ciacavi sono di tipo più arcaico, assenti in Istria e quindi
indubbiamente raccolti da questa gente 'lungo la strada". Anche oggi in Dalmazia
gli anziani contano le pecore usando termini romeni. Ad es. dieci si dice zeice.
Inoltre, è diversa anche la struttura della lingua: il romeno ad esempio non
conosce il genere neutro nel senso classico, che qui è presente."
Quali frutti si attende da questo convegno?
"Le dirò innanzitutto che mi ha piacevolmente sorpreso la
consisterne adesione di esponenti dei mondo della politica. Il fine primo era di
dare un contributo agli studi su questo idioma. Dato però che c'è di
mezzo una piccola comunità che necessita di reali sostegni, mi auguro che al
momento del commiato avremo fatto qualche piccolo passo avanti sul piano
concreto. Gli istroromeni di Valdarsa necessitano di forme organizzative
indispensabili alla valorizzazione della lingua e delle tradizioni, a cui sono
molto interessati.
Sono inoltre indispensabili forme di collegamento con Zejane.
finora assenti data la conformazione del terreno (sono divisi dal Monte
Maggiore)."
Preso atto di quanto detto, non resta che sperare che, chi può
e deve, si muova quanto prima per evitare che anche questa comunità e il suo
idioma entrino a far pane di que patrimoni culturali - e sono tanti - scomparsi
dalla faccia della terra. Un piccolissimo contributo in tal senso, si spera,
dovrebbe venire dal simposio.
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A Pola si studia il romeno
Fra le lingue straniere che s'insegnano alla Facoltà di Pola
vi è anche il romeno. I corsi si articolano a due livelli: per principianti e
per progrediti. Le lezioni vengono tenute da un lettore della Facoltà di
filosofia di Zagabria. Nella fotografia: La
presenza (da destra) del segretario di Stato Viorel Badea
dell'ambasciatore a Zagabria Constantin Ghirda a riprova dell'interesse
della Bucharest ufficiale per l'appuntamento polese. |
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Da Ciré bine a cirìbiri
Si dice istroromeni per definire una popolazione che oggi vive
nella penisola istriana grossomodo in due territori distinti: intorno a Zejane e
nell'area di Valdarsa. Il primo grosso interrogativo si affaccia già in
relazione all'arrivo. Come e perché si mossero? Le teorìe sono diverse. La più
accreditata è quella di genti nomade che giravano per i Balcani alla ricerca di
pascoli per le sue greggi e che si sistemarono in parte nel territorio istriano
che più volte era rimasto quasi privo di popolazione in seguito ai susseguirsi
di varie pestilenze. Le "avanguardie" di queste migrazioni veteroromene sì
sarebbero spinte fino al Friuli indotte anche dal fatto che le greggi erano
numerose sicché in tempi relativamente brevi i pascoli si esaurivano. I primi
arrivi in Istria risalirebbero al XII secolo. Anche oggi Valdarsa e l'area
circostante presentano le caratteristiche dì abitato di pastori, non
riscontrabili invece a Zejane.
Gli istroromeni sistematisi nell'area di Zejane, fino a
lambire Abbazìa, vengono chiamati cicci. i ciribiri sono invece dislocati
attorno alle sponde di quello che fu il lago d'Arsa. Data l'area montuosa che li
divide e le conseguenti difficoltà nelle comunicazioni, i contatti sono stati
pressoché inesistenti. lì nome cicci deriva, si presuppone da un toponimo locale
di difficile identificazione. Ciribiri e nata invece dall'unione delle parole
ciré bine che significano "stammi bene" [tien
bene] e da cui con l'andar del tempo, con un
processo di rotacismo, la n sì è trasformata in r.
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Ratiu: matrice comune palese nelle favole Miličević: escluso
ogni legame organico
Di
contro a Miìičević (vedi testo a lato) il dott. Emil Petru Ratiu (nella foto),
romeno che vive in Italia, ha affermato che le favole istroromene presentano
tutta una serie di somiglianze, fino ad arrivare alla piena identità, con quelle
dacoromene per cui è assolutamente improprio parlare di casualità. Tale
somiglianzà si basa sul prevalere degli elementi sovrannaturali, molto presenti
nella favole dacoromene, e quindi sulla tipologia del personaggio, quasi sempre
un giovane scaltro, un figlio minore di una grande nidiata, o una serva rimasta
incinta che deve trarsi d'impaccio. In Istria l'elemento favolistico ha assunto
poi vie autonome fino ad avere quali protagonisti il "buon soldato" che fa
servizio a Pola dove viene gratificato dall'imperatore. Ratiu ha sottolineato il
valore di racconti con cui di fatto questa gente ha espresso "l'amore e la
morte, le prime parole e le ultime sofferenze".
Una voce discorde fra le tante è stata quella del prof. Josip
Miličević, di Zagabria. Il "valore romeno" in questa gente (da lui chiamata
"rumeri") deve essere a suo avviso decisamente declassalo. li linguaggio
da essi usato, ha spiegato non può essere definito in altro modo che quale
"linguaggio di famiglia" che presenta connotazioni etnografiche di scarsissima
importanza. Lo stesso discorso vale per i racconti a cui si richiama la
tradizione orale che "non presentano nessuna peculiarità" che si possa
considerare specificamente romena, "nonostante che in genere fra i popoli
balcanici sia presente una forte tendenza a raccontare". Quest'assenza a suo
avviso
sarebbe la testimonianza inconfutabile dell'inserimento integrale di questa
comunità nell'ambiente istriano con la conseguente perdita degli essenziali
attributi nazionali. Il professore ha sostenuto quindi che una comprova del suo
ragionamento è venuta dalla ricerca atta a rinvenire fra gli istrorumeni oggetti
aventi valore etnografico da lui effettuata per conto del Museo etnografico di
Pisino: fra tutti quelli che egli ha avuto in mano, è stato categorico, nessuno
presentava caratteristiche tali da poterlo inserire fra i reperti
etnograficamente riconducibili a un'origine romena.
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Per Bucarest valido il modello italiano
Ai lavori del convegno ha presenziato il segretario di Stato
rumeno, Viorel Badea, che dirige il Dipartimento per le relazioni con i romeni
che vivono all'estero a cui abbiamo chiesto in che modo il suo Governo si
propone di supportare l'attività degli istrorumeni.
"Noi abbiamo adottato l'anno scorso una strategia che si
articola in dieci programmi che si propongono di sostenere la scuola, la lingua,
e, specificamente anche una Fondazione per le biblioteche laddove vi sia una
popolazione rumena. In questo momento cerchiamo di presentare agli istrorumeni
una specie di accordo, direi quasi una partnership, per la conservazione di
questo idioma. Dico idioma perché per alcuni è lingua vera e propria, io però
sarei propenso a definirlo un dialetto, come lo è il friulano o il siciliano.
Non possiamo parlare di grande comunità - perché una tesi di questo genere mistificherebbe la realtà - ma
l'idioma, data la sua struttura molto interessante, va conservato.
In altri termini, qui c'è un certo numero di istrorumeni,
portatori di una tradizione, che si esprime anche soprattutto attraverso la
parlata, che va mantenuta e conservata. È per tale motivo che proporremo questo
accordo con cui noi, come Stato, c'impegniamo ad appoggiare tutto ciò che ha una
determinata valenza per la conservazione della lingua e delle tradizioni. È una
proposta in cui intendiamo coinvolgere lo Stato croato anche alla luce della
questione dì reciprocità nei confronti della minoranza croata in Romania che gode di quelli che per me sono
diritti normali e ovvii e che dovrebbero essere fruibili in tutti i casi simili.
Il nostro dipartimento è «giovane»: funziona solo da un anno e
fra i modelli che segue e a cui s'ispira c'è anche quello italiano. Proprio a
Roma le sue caratteristiche mi sono state illustrate dal sonosegreiario Patrizia
Toia. Anche il modello ungherese è a mio avviso molto vivo ed attivo e funziona
molto bene. Elaborando la variante più idonea alle nostre necessità cercheremo
di trovare i modi più validi per venire incontro alle necessità di tale
comunità."
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II rumeno in municipio
Nel 1930 nel comune di Valdarsa, sia pure limitatamente
al piano locale, l'istroromeno diveniva lingua ufficiale, come riporta una
notizia ritrovata dai ricercatori nel Fondo Tagliavini che oggi fa parie della
Biblioteca di Udine. "Ho introdotto in Ufficio l'esclusività del rumeno così
tutti gli abitanti del Comune, anche quelli che usualmente a casa non parlano il
rumeno, si esprimono, quando vengono in Municipio in lingua rumena oppure in
quella italiana" scriveva il vicepodestà Fabio Branca" aggiungendo in un
poscritto: "Ho imparato a parlare questo dìalctio e sono contentissimo".
(Dalla relazione del dott. Gheorghe Zbuchea)
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No, el cicio xe anche per barca
Diversa e interessante per molteplici aspetti è stata la
comunicazione letta ai convegno dal dott. Ervino Curtis, di Trieste, presidente
dell'Associazione ilalo-romena Decebal, in cui ha sottolineato la necessità di
dare piena dignità, nella multiculturale Istria, a "questa cultura minore che è
una testimonianza storica e culturale", che si è arricchita delle altre culture,
pur conservando la memoria storica delle sue origini.
Egli pertanto si è proposto di provare come la società
istroromena si sia integrata nel territorio e Io abbia conservato e valorizzato.
Analizzando l'aspetto economico Curtis (che è occupato presso l'autorità
portuale del capoluogo giuliano e che nel colloquio avuto con chi scrive queste
righe, si è definito, con immeritata modestia, "un dilettante") ne! suo scritto
ha "corretto" il tradizionale detto (triestino, ha specificato) "cicio no xe
per barca" con cui s'intendeva affermare che l'ambito economico degli
istroromeni, le loro professionalità ed esperienze non erano legate alle
attività che più si facevano sulla costa istriana. Seppur non decisamente
offensivo, il termine neppure sviluppa un concetto positivo sugli istroromeni
poiché esprime la "non abilità" del ciccio a un certo lavoro. Nello stesso tempo però conferma il fatto che molti cicci abbiano provato
ad andare per barca.
Ricorda infatti lo storico Pietro Kandler che "il cicio
davasi sovratutto ai trasposto de! sale dall'Istria marittima al carnio"
commerciando però anche in carbone, doghe, lavori in legno, lana, aceto,
trasferendo in quest'attività la conoscenza delle strade acquisita al seguito
delle greggi. Altri documenti li indicano proprio fra i marinai su navi italiane,
spesso come fuochisti. Altre ricerche ancora dicono che lavoravano a Fiume, nel
porto, nei cantieri e nelle carpenterie di ferro ed anche ad Abbazia.
Naturalmente le loro specialità, ben conosciute da tutti, sono
sempre state la pastorizia e conscguentemente la produzione di formaggi e la
produzione del carbone vegetale. Sono tutte testimonianza che certificano una
certa vivacità imprenditoriale degli istroromeni adattati ed integrati nella
situazione istriana.
Tale sviluppo è stato bloccalo anche da crisi economiche
significative. La prima con la conquista napoleonica, la seconda con
l'avvento
della prima guerra mondiale, che hanno indotto i cicci a praticare
il contrabbando ed il brigantaggio su quelle strade, in parte da loro stessi
costruite, considerate da secoli un bene comune degli abitanti deli'Istria ed
improvvisamente ripartite in diverse entità statali. Lo stesso Kandler,
criticando le repressioni poliziesche, considera queste "straderie" più
una braveria che un delitto e ritiene che i cicci siano anche un
comodo capro espiatorio perché invece "l'educazione
di un popolo abbandonato del tutto, il promuoverne l'economia, sarebbe stalo
miglior modo che il terrore disgiunto da giustizia".
Aspetto
fisico: mentre un altro
ricercatore, il prof. Urbas - ricorda Curtis - dice trattarsi di una popolazione
di struttura fisica forte e sana. Kandler rileva che non hanno avuto mai un
medico o spezierie ma neppure malattie.
Trattando l'aspetto sociale, la comunicazione si è soffermata
sul fenomeno dei trovatelli ricordato dal ricercatore romeno loan Maiorescu che.
appurato che nel 1857 quasi 300 trovatelli dell'Istituto dei poveri di Trieste
sono raccolti presso famiglie istroromene afferma che in nessuna parte deli'Istria la
gente è invogliata di occuparsi con l'educazione come i romeni che crescono
e raccolgono i frutti dei plutocratici triestini. La posizione dei luogo
lontano da Trieste e che è come un nascondìglio isolato. La costituzione fisica,
forte e sana di questi romeni, le loro belle caratteristiche, il loro spirito
vivace ed ingegnoso sono gli elementi che fanno sì che siano affidati loro
questi bambini. Ricorda infine che di questi trovatelli, la cui piccola
retta era pagata dall'istituto triestino solo fino all'età di 10 anni
la maggior parte di loro rimangono tra i romeni senza che vengano a conoscenza
mai della loro origine.
Aspetto ecologico: è stato assai poco considerato che le loro
attività hanno garantito l'equilibrio dell'ecosistema in quella Cicceria che uno
scritto di Loris Dilena definisce un 'oasi incontaminata la cui
ricchissima fauna e flora sono sopravvissute proprio grazie agli stagni
artificiali che venivano fatti dai cicci per i loro greggi in una regione povera
di acqua, rispettivamente a seguito di una
azione molto attiva di pascolamento esercitata su superaci strappate al bosco.
Un altro ricercatore. Luigi Perentin, conferma come le loro
attività economiche non abbiano alterato negativamente l'ambiente, perché, a
proposito delle carbonaie osservavano le leggi e tramite l'esperienza
rispettavano il legname vivo del bosco ben sapendo che le ceppale
rinascono dopo 3 anni e il bosco torna ad essere sfruttabile a carbone dopo 15.
Concludendo, Curtis ha affermato che poche migliaia (ora
qualche centinaio) di persone "non possono che essere guardare dai studiosi e
dagli storici con simpatia ed interesse come un laboratorio culturale ed una
ricchezza da coltivare e preservare. Dei 6.600 idiomi parlati nel mondo,
infatti, 3.000 sono destinati a morire tra un secolo, prendiamo perciò l'impegno
davanti alla storia di salvare l'istroromeno".
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II ruolo di Glavina
Nei preparativi del Convegno sugli istroromeni è stata
attivamente coinvolta pure l'associazione "Andrei Glavina" con sede a Trieste, a
cui aderiscono una cinquantina di istroromeni. L'attività di Glavina, chiamato
"l'apostolo degli istroromeni della Valdarsa" è stata essenziale per questa
comunità. Nel 1902, giunto per la seconda volta fra gli istroromeni. il prof.
Teodor Burada, dell'Università di Jassi, portò con sé indietro il
dodicenne Glavina. Il giovane studiò con prestigiosi insegnanti in diversi
centri romeni e, tornato a casa, si dedicò completamente all'educazione dei
compaesani. Raccolse le testimonianze della loro lingua nei racconti, proverbi e
vocaboli in uso e pubblicò nel 1905 a Bucarest un "Calendaru lu Rumeri in
istria" ossia un piccolo almanacco contenente le principali preghiere,
raccontini e. in appendice, un minuscolo vocabolario. Maestro a S.Domenica
d'Albona fino al 1918, fu poi commissario prefettizio. podestà e maestro
elementare nella scuola di lingua romena. Morì a Pola nel 1925 a soli 44 anni
d'età. La sua attività fu protesa essenzialmente all'apertura di una scuola
romena a Valdarsa. Effettivamente, nel giugno del 1921, nel corso di una
cerimonia a Bucarest, l'ambasciatore italiano annunciò l'avvenuta
apertura delia scuola. Morto Glavina. l'insegnamento si spense.
[Biografia]
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Nel sentir parlare quell'uomo provai una fortissima
emozione...
Lamentando la scarsa conoscenza che si ha degli istroromeni,
Ervino Curtis ricorda che la parlata di questo popolo si articola attraverso
quattro lingue (che per qualcuno però sono solo dialetti, precisa), ossia: il
dacoromeno, che si parla nella Romania attuale; il meglenoromeno, usato dai
romeni che vivono in territorio greco nell'area sovrastante Salonicco: l'arumeno
o macedoromeno, parlato nell'Epiro e nella Macedonia e l'istoromeno. Tutti i
romeni, ossia 23 milioni di persone di quest'Europa, sanno che la loro lingua è
divisa in quattro parti di cui una è l'istroromeno. La conoscenza però si ferma
qui.
Nel '91 a Fiume per un convegno, per conoscere da vicino
questa realtà, si recò a Zejane. "Conosco diverse lingue, fra cui il rumeno,
però, mio malgrado, non una parola di croato o sloveno. Arrivato a Zejane, in
un'osteria trovai un quarantenne del posto. Cercando di comunicare, tentai con
il romeno, egli mi rispose nel suo dialetto e ci capimmo senza difficoltà. Non
posso esprimere l'emozione che provai."
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Tratto da:
- Panorama, No. 7, 15 aprile 2000, EDIT.
This article is courtesy of Bruno Dobrich, Director of the University of Pula Library
and was scanned and transcribed by Marisa Ciceran.
© Copyright 2005, all rights reserved.
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Created: Wednesday, August 03, 2005; Last Updated:
Tuesday, March 01, 2022
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