Vlahi, i romeni alle porte
di
Vito Sutto
© Cultura furlana
24 novembre 2006
Si chiamano Vlahi: pochi conoscono storia e controstoria di
questo popolo, ma vale la pena raccontarle perché davvero ci riguardano da
vicino. I vlahi sono un gruppo etnico-linguistico romeno che vive ad una
manciata di chilometri da Trieste. Istro-romeni, per essere precisi. La
lingua neolatina è già un distinguo, un’isola in mezzo alla cultura slava,
con una parlata che sa di dialetto antico e misterioso. Una parlata che
riserva un carico di mistero e una genuinità che sembrano consegnarci
intatto un mondo remoto e fascinoso, non pienamente conoscibile, eppure vivo
e pulsante, e orgoglioso di esserci.
Oggi sono poche decine le famiglie che
parlano ancora questo idioma istroromeno, che conservano tradizioni e colori
di una civiltà che è stata in mezzo a latini, sloveni e croati, italiani, ma
persino ungheresi e greci. Perché, si sa, Trieste è questa. Un tempo però il
gruppo, pur essendo una stretta minoranza, era consistente. “Oggi - spiega
un po’ sconsolato Ezio Bortul, attento studioso di questo mondo e
istroromeno egli stesso, residente proprio nel capoluogo regionale - credo
che si trovino vlahi più facilmente in giro per New York che per le loro
vallate dell’Istria e tanto meno a Trieste città”.
Si sa che il mondo cambia: tra quelle parlate
in attesa di estinzione tra pochi anni, temiamo anche per gli istroromeni.
Eppure la storia del Novecento è passata tutta sulla testa di questo popolo,
che non ha potuto sottrarsi al destino di due guerre mondiali: la prima
combattuta nel nome dell’Austria-Ungheria, la seconda per l’aspirazione alla
libertà dal nazifascismo, con nel mezzo una dominazione fascista e italiana
dal 1918 al ’45, che ha cercato di snaturare ogni minoranza nel tentativo di
omogeneizzazione della costa istriana. Cosi, i vlahi della Valdarsa - gli
italiani chiamarono cosi la zona - sono sempre rimasti fedeli alle loro
origini nella misura della loro possibilità di sopravvivenza al vento freddo
del destino, piuttosto che della bora secca che tira veloce tra gli alberi
che stanno perdendo le foglie per l’incedere della stagione.
Anche Ezio Bortul ha dovuto fare i conti con
la storia personale di istroromeno “triestinizzato”, ma non accetta il
silenzio della cultura dei vlahi. E per questo, da funzionario dell’Ente
Porto di Trieste, si è trasformato in scrittore e ha cominciato a scrivere,
in italiano, la storia di questo popolo di vento. E’ come un fiume in piena,
Bortul, quando parla dei romeni e accenna anche a parentele tra le storie
popolari di San Bortul di Carnia e la presenza romena in Friuli. Ha trovato
documenti in cui si accenna a presenze istroromene nel Friuli fino al
Tagliamento nel dodicesimo secolo. E le tracce sono cognomi come Orlant,
Furiul, Pizul... Sì, proprio Pizul, appartenente strettamente all’onomastica
romena.
In un documento del 1181, la badessa
Ermelinda del Monastero S Maria in Aquileia fa un inventario di tutti i
villaggi appartenenti al monastero e dei nomi dei prestatori d’opera e dei
coloni di origine romena. Se ne riscontrano in dodici paesi: Perteole,
Alture, Mortesins, Terzo, Chiasiellis, Cervignano, Muscoli, Zompicchia,
Beano, Pantianicco, Mereto (mancano notizie sul dodicesimo centro). Oggi non
esiste una precisa traccia etnica romena, anche se nella parlata comune
emerge qualche termine che dovrebbe far riflettere. Per esempio Morlac,
penetrato nel lessico comune, e che Pirona, Corgnali e Carletti indicano
come qualcuno stravagante, strampalato, strano, volgare. Attenzione alla
tradizione popolare: tra Natale e l’Epifania, in Carnia e nella Val Canale i
giovani cantano le storie di Gesu e si gira con la stella di carta colorata
infilata su un legno. E’ un’usanza romena, “umblatul steaua”, citata in
tantissimi testi di tradizioni romene.
Ezio Bortul è oggi al lavoro per il suo
racconto “Josepha e Vasile”, la storia di due giovani che si amano e,
ostacolati dalle rispettive famiglie, lasciano la Valdarsa
[era Susnieviza prima dell'Italia, ora Sušnjevica]
per approdare dopo avventure e disavventure in America, a New York. Qui
incontrano compaesani e continuano a tenere deste quelle usanze e quelle
tradizioni che non vorrebbero mai dimenticare perché le loro radici sono
salde e la loro coscienza à pura. Come quella del cantore di un mondo antico
e dai risvolti ancora enigmatici, un cantore che ha negli occhi quel velo di
nostalgia che non rinuncia all’orgoglio.
Nota (M.C.): Ezio Bortul è l'autore di
Vlahi. Battello
Stampatore/Tipografia Adriatica, Trieste, Italia, 2002;
Tratto da:
- Cultura furlana, Anno XII, Numero 44, 24
novembre 2006 -
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