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Una vecchia foto di don Alberto Cvecich (a destra)
insieme a mons. Torcoletti e a mons. Camozzo, scattata a
Fiume nel cortile del Duomo, tra il 1943 e il 1947 |
ERA NATO A NOSELO-VILLANOVA,
NELL'ISTRIA CHE PARLAVA L'ISTRORUMENO
È scomparso a Pisa don Alberto Cvecich
a cura di Roberto Palisca
[Tratto da: La Voce del Popolo, Esuli & rimasti, Sabato, 24
febbraio 2007, p. 22.]
Nel suo primo incarico pastorale, da cappellano del Duomo di
Fiume, si fece molto amare dai parrocchiani per l'efficacia
delle sue prediche, per la cura che prestava in chiesa alle
cerimonie liturgiche, per l'attenzione che rivolgeva ai bambini
ed ai giovani
Come ci ha fatto sapere via e mail l'esule fiumano
Antonio Dianich,
lo scorso 20 febbraio è scomparso a Pisa don
Alberto Cvecich. Era nato a
Noselo-Villanova, nell'Istria che parlava l'istrorumeno
(vluashki), il 3 luglio del 1921, ma ben presto, dopo aver
frequentato nel suo paese natale la scuola
elementare,
si era trasferito a
Fiume per entrare in Seminario.
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La chiesa dei
Salesiani di Fiume. |
"In seguito - ricorda Antonio Dianich - era passato nel
Seminario di Venezia per seguire i corsi di teologia, ed era
stato poi ordinato sacerdote, nel 1943, dal vescovo di
Fiume
monsignor Ugo Camozzo. Aveva celebrato la sua prima messa nella
chiesa dei Salesiani di
Fiume, ma non aveva dimenticato le sue origini istrorumene,
celebrando subito dopo la sua messa nella chiesa parrocchiale di
Brdo-Briani
[se no a Spirito Santo a Villanova o San
Giovanni Battista a Valdarsa]. Fece molto scalpore il
fatto che il "santino" distribuito a ricordo dell'evento fosse
scritto in "vluashki" e ancora di più che nella stessa
lingua
don Alberto
dicesse anche la sua predica: era una delle poche volte che
questa lingua riceveva una così solenne consacrazione, dopo il
tentativo, ben presto terminato, del maestro
Glavina, di insegnarla nella scuola.
Nel suo primo incarico
pastorale,
che era stato quello di cappellano nella chiesa
del Duomo di
Fiume,
nel tempo in cui era parroco monsignor Luigi Torcoletti, don
Alberto si fece molto amare dai parrocchiani per l'efficacia
delle sue prediche, per la cura che prestava in chiesa alle
cerimonie liturgiche, per l'attenzione che rivolgeva ai bambini
ed ai giovani, continuando in questo campo il lavoro iniziato
già da monsignor Torcoletti con la fondazione dell'Oratorio e
dal cappellano don Severino Scala.
"Durante la guerra - rileva Antonio
Dianich - correva sotto le bombe per dare
assistenza ai malati
e ai moribondi, e per dire messa nei rifugi
sotterranei; dopo la guerra, nei primi tragici anni
dell'occupazione titina, portava una parola di conforto ai
malati e ai poveri nelle loro case con pericolo della propria
vita, perché strettamente sorvegliato dalla polizia comunista.
Mi ricordo che in quelle visite
si faceva sempre accompagnare da un chierichetto
(mio fratello ed io lo abbiamo fatto più volte), che incaricava
di portare alla famiglia visitata una "puturitza", cioè un
fascetto di legna da ardere per riscaldarsi (i titini avevano
introdotto la vendita della legna a misura invece che a peso).
Essendo proibito fare catechismo a scuola, don Alberto ci
riuniva in chiesa alle 2 del pomeriggio, quando la chiesa era
vuota: in fondo alla chiesa, vicino alla porta, una spia della
polizia ci stava sempre a controllare, finché un giorno don
Alberto, alla fine del catechismo, disse a voce alta, per poter
essere ben sentito: "Ed ora preghiamo per quella brava persona
così devota che viene tutti i giorni a sentire il nostro
catechismo". La spia non si fece più vedere. Dopo il catechismo,
arrivava quasi sempre una signora che regalava a don Alberto un
libro: in realtà era un vassoio di dolci (a
Fiume si diceva un guantiera), che noi ci mangiavamo prima
di ritornare a casa o di rimanere a giocare nell'Oratorio. Un
Natale si fece il "presepio vivente", novità assoluta per quei
tempi, e per San Nicolò
don Alberto si metteva addosso un piviale e in
testa una mitria e
distribuiva i regali
ai bambini dal palco del teatrino. Così si
cercava di rendere meno tristi quei tristi tempi.
Ma don Alberto si prodigava anche per aiutare i bambini che
avevano difficoltà nello studio, o volevano imparare il latino
che non si insegnava più nelle scuole, come mio fratello che già
da piccolo pensava
di farsi prete. Mio fratello ed io abbiamo ricevuto da lui in
quel tempo la passione per la storia dell'arte che ancora non ci
abbandona, perché don Alberto in sagrestia ci mostrava gli
atlanti di arte e ci insegnava ad apprezzare la bellezza.
Ma la situazione con la polizia si faceva sempre più tesa. Un
giorno, al processo contro il salesiano don De Martin, a sentire
le false accuse del procuratore e dei testimoni, don Alberto non
aveva resistito ed aveva gridato qualcosa contro l'ingiustizia
che si celebrava in quel "tribunale
del popolo". Dopo poco suo cognato, che
era stato vigile urbano a
Fiume, ma aveva rifiutato l'incarico dopo essere stato sul
punto di essere deportato, insieme con tutti gli altri vigili,
ed ammazzato chissà dove, aveva saputo, nel suo nuovo lavoro di
magazziniere, che la polizia era pronta ad arrestare don Alberto
da un momento all'altro. Don Alberto ebbe la prontezza di
prendere un taxi (ancora si poteva) e di scappare a
Trieste: era il 1946-47
circa.
Dopo una breve sosta a Venezia, don Alberto di traferì a
Roma, per seguire i corsi alla Pontificia Università Gregoriana,
dove prese la licenza in diritto. Ma la sua nuova diocesi fu
Pisa, dove nel frattempo era stato nominato arcivescovo
monsignor Camozzo, che era stato vescovo di
Fiume durante la guerra e nell'immediato dopoguerra. Grazie
a don Alberto e a monsignor Camozzo, mio fratello
Severino potè lasciare definitivamente il campo profughi di
Gaeta, dove eravamo rifugiati, ed entrare in seminario a Pisa
nel 1949, ricevendo poi l'ordinazione sacerdotale dallo stesso
arcivescovo nel 1958.
A Pisa, don Alberto fu prima direttore della Casa del
Seminario a Calci, poi, dal 1952 al 1955 parroco nel comune di
San Giuliano Terme, dove si fece ben volere, nonostante che il
paese fosse uno
dei più comunisti d'Italia. Dal 1956 fino alla sua morte, don
Alberto è stato parroco di una delle chiese più antiche e più
belle di Pisa: San
Paolo a Ripa d'Arno, appena restaurata dopo i gravi danni subiti
nei bombardamenti durante la guerra. È stato anche insegnante di
religione nei licei statali e docente di teologia
morale nel Seminario di
Pisa, dove ha formato generazioni di giovani preti. La sua
azione pastorale si è sviluppata soprattutto nei rapporti
personali, mediante i quali affascinava le persone per la sua
cultura teologica e profana, e per la sua capacità di parlare
semplicemente ma con fermezza al cuore della gente. Le sue
passioni sono state la musica, l'arte, la liturgia: per
l'efficacia delle sue prediche e per la bellezza delle sue
liturgie, la sua parrocchia era frequentata da un numero di
fedeli probabilmente superiore a quello dei parrocchiani.
Molta gente sentirà la sua mancanza, specialmente tra le
persone colte. Per me e per mio fratello, ma anche per molti
altri - conclude
Antonio Dianich - don Alberto, fin da quando eravamo
bambini, è stato un modello da ammirare e da seguire nelle
parole e nell'esempio. Requiescat in pace".
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Created: Monday, May 16,
2022; Last updated:
Sunday, May 29, 2022
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