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Račja
Vas [Racia]: oggi un villaggio quasi completamente abbandonato. |
Un giro per i paesi che si ergeono nella
parte settentrionale della penisola
«Senza la Ciceria
l’Istria non sarebbe Istria»
di
Mario
Schiavato
La Ciceria è una regione
che, gigantesco e in parte nudo gradone, si erge nella parte
settentrionale dell’Istria, regno asperrimo del Carso, abbacinante di
pietra calcarea. Da qui l’appellativo di Istria Bianca a questo
particolare settore del suo triangolo, per differenziarlo dal flysch
dell’Istria Grigia e dall’Istria Rossa, determinata appunto dalle sue
terre rosse. Esaminando gli autori degli studi fatti sui suoi abitanti
si può tracciarne un breve profilo storico. A partire dal XII secolo
iniziò nell’Istria l’espansione di due grandi potenze: quella veneta e
quella asburgica. In questo periodo, le condizioni economiche della
regione andarono peggiorando, non soltanto a causa delle continue guerre
tra le due parti, ma soprattutto a causa delle epidemie di peste e di
malaria al punto da spopolare quasi interamente il territorio, tanto che
nel 1375 un comunicato ufficiale della Serenissima affermava “l’Istria
ormai è da considerarsi un deserto”.
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Una panoramica del paese
di Žejane
[Seiane]. |
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Vecchie case a Brdo
[Berdo - Briani]. |
La fuga dei Morlacchi dal Velebit
Ecco allora che si pose
il problema del ripopolamento e quindi fu favorita la forte migrazione
di popolazioni che fuggivano davanti alle barbare molestie dei Turchi. I
Morlacchi, in
primo luogo, pastori seminomadi, che scappavano dal Velebit e che i
Frankopani installarono nell’isola di Veglia ma che a causa dei continui
scontri con gli autoctoni, provocati dal loro bestiame che danneggiava
le colture, dovettero emigrare appunto in Ciceria come altri gruppi che
arrivarono dal Montenegro, dalla Bosnia, dall’Erzegovina ma anche dalla
Grecia, dall’Albania, dalla Romania.
[Quelli dalla Romania] vennero
chiamati Cici (čići). Nel corso dei secoli, tutti questi gruppi
etnici pian piano si sono completamente slavizzati, ad eccezione dei
Romeni che hanno conservato la loro lingua anche se parecchio decaduta,
ovvero quel che resta di quella antica che a parere degli esperti
“non è certo il romeno di Bucarest che si è imbastardito col tempo, come
i cognomi del resto, durante la lunga migrazione dalle terre d’origine
dell’antica Dacia”.
I due rami dei cici romeni
Risulta comunque che
l’insediamento di questa popolazione nella parte settentrionale
dell’Istria è unico, con origine tra il XIV ed il XV secolo
[forsi nel XIII secolo o anche prima].
Inizialmente questi Romeni si stanziarono con le loro greggi sui monti
Sega e Zupano. Una parte in seguito discese verso nord formando Jeiani
(la Žejane di oggi), i rimanenti si spostarono più a sud, nella zona
paludosa dell’allora lago di Cepich, nell’attuale Valdarsa, a Sušnjevica
e Nova Vas. Non risultano chiari i motivi che indussero i Cici romeni a
dividersi in due grossi rami. Ci restano solo alcune leggende che danno
diverse versioni di quanto in effetti accadde.
Il convento ai piedi del monte Sega
Secondo la prima, sette
famiglie avrebbero, anche se a malincuore, accettato l’invito delle
suore benedettine che abitavano in un convento ai piedi del già nominato
monte Sega (il nome di Mune infatti deriverebbe da “nune”, cioè suore in
romeno), assegnando loro dei terreni e facendoli lavorare quali servi
della gleba mentre le altre parecchie famiglie avrebbero preferito
essere liberi e prendere la strada per la Valdarsa. Una seconda versione
dice che, essendo cessato il pericolo turco, alcune famiglie staccatesi
dalle altre, se ne andarono dal primo insediamento alla ricerca di
terreni più fertili, probabilmente nella bassa Istria o sulle isole. Poi
c’è una terza versione: secondo questa i Romeni furono costretti a
scendere a valle per sottostare a un maggior e capillare controllo da
parte delle autorità comunali in quanto autori, per necessità o forse
anche per vezzo, all’abigeato, cioè alle razzie e ai furti di bestiame
negli abitati pedemontani dell’Istria.
Il grande rispetto per i vecchi
Un tempo i villaggi
romeni avevano una struttura patriarcale-religiosa tipica, che oggi
praticamente non esiste più. Ma si può constatare che all’interno delle
famiglie esiste sempre un grande rispetto per i vecchi che vivono in
casa assieme ai figli. Siccome il gruppo etnico romeno non presenta
alcuna tradizione scritta ma solamente leggende remote, storie e canzoni
trasmesse da padre in figlio, si puiò dedurre che non esistessero in
passato delle autorità uniche per ogni villaggio, ma un consiglio degli
anziani o di saggi per pratiche di vario genere: religiose, morali, di
lavoro. Il riunirsi all’osteria, parlare e cantare le ossessive nenie a
cinque note, oggi in lingua croata, ma su antichi racconti e tradizioni
romeni, era una pratica costante che indicava appunto il rispetto pert
gli anziani.
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Case crollate a Kstrčani*
[Costerciani]. |
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Case di Zankovci*
[Zancovzi]. Sullo sfondo
d'Orljak (Monte Aquila). |
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La produzione di carbone di legna
Volendo oggi visitare i
piccoli paesi della Ciceria, con tutta probabilità di Cici non se ne
incontreranno molti in quanto se ne sono andati in buona parte dallo
sterile altopiano. Ci sono solo un paio di villaggi da cui non si sono
lasciati sradicare: Brest, Raspo, Žejane, Mune, Lanišče, Račja Vas...
Ma, da dove deriva quel nome di Cici? Si dice a causa della loro
particolare pronuncia del romanzo “cinque” che suonava “cinc” e che era
strana alle orecchie degli abitanti dei dintorni. Comunque i Cici che
erano molto poveri, già mezzo secolo fa scendevano a valle, nelle città,
per vendere il carbone di legna che essi stessi producevano nelle plaghe
boscose dell’Istria. Un istriano autentico, Vjeko Spinčić, nel 1882 così
descriveva la produzione del carbone:
"Nei boschi funzionano le
carbonaie. I Cici segano la legna, la tagliano, ne fanno una catasta, la
ricoprono di terra e sotto appiccano il fuoco. Il carbone è la
principale merce del loro commercio e lo vendono a sacchi. Gli uomini ne
caricano i muli e gli asini, le donne si sobbarcano uno o due sacchi, e
quindi prendono la via di Fiume, di Capodistria o di Trieste, meglio
quella che promette un migliore e più rapido smercio”.Il commercio di aceto
Un’altra attività
caratteristica era la produzione di aceto che veniva ricavato dal vino
che i pastori si procuravano nella bassa Istria durante i pascoli
invernali del bestiame, scambiandolo con formaggio, agnelli e lana. Poi
questi commerci ebbero una contrazione, soprattutto dopo la Prima guerra
mondiale quando l’aceto si cominciò a produrre e a imbottigliare su
scala industriale e anche la produzione del carbon dolce diminuì
notevolmente sia per le nuove tecnologie impiegate per il riscaldamento
che per la semidistruzione dei boschi dovuta proprio a questa secolare
attività nonché per ricavarne dei pascoli.
Il «tetto» chiamato Alpe Grande
Il tetto della Ciceria è
il Planik (Alpe Grande – 1273 metri). Da lassù la vista è magnifica da
ogni parte. Qui si comprende benissimo donde il nome in italiano, un po’
insolito forse, e il perché dei tanti ispirati racconti sulla rivista
alpinistica “Liburnia”, il cui primo numero uscì nel lontano 1902.
L’Alpe Grande divenne particolarmente popolare come meta di escursioni
dopo che nel 1913 lo descrisse nella sua “Guida di Fiume e dei suoi
monti” Guido Depoli, redattore della “Liburnia” e per lunghi anni
segretario e poi presidente del Club Alpino Fiumano. Tuttavia gli
estimatori di questo monte della Ciceria, di qua e di là dai confini, si
recano ancor oggi quasi in pellegrinaggio al loro simbolo tradizionale.
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La chiesa di
Žejane
[Seiane]. |
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Dane
[Danne di Raspo]: un paese abitato
soprattutto da allevatori di bestiame. |
Un censimento difficile
Per parlare un po’ di
numeri diremo che verso la metà del XIX secolo i “Cici” censiti furono
circa tre mila. Nel 1900 erano già ridotti a 1311. Oggi? Difficile fare
una conta, anche approssimativa, che tuttavia non dovrebbe superare la
cifra di alcune centinaia, per lo più stanziati nella Valdarsa
superiore, quindi già fuori della Ciciaria vera e propria. E c’è ancora
da dire che i Romeni tuttora esistenti in Istria sono localizzati in
otto paesi esclusivamente romeni e cioè: Žejane, Brdo, Jasenovik,
Nova Vas; prevalentemente romeni: Sušnjevica, Kotrčani; con
minoranze romene: Letai, Zankovici, e in numero molto ma molto
minore, a Mune. Nella lista non appaiono più né Lanišče né Raspor.
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La chiesa di Lanišće*
[Lanischie]. |
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Panoramo di
[Veli Mune] Mune Grande. |
Anche dalla Ciceria
tuttavia, come dalle altre regioni istriane, da sempre la gente se n’è
andata per il mondo alla ricerca di lavoro e di una vita migliore. In
America se ne andavano soprattutto i giovani, in primo luogo dalle
famiglie numerose. Ma la vita in Ciceria non si fermava, i villaggi non
si svuotavano, i focolari non si spegnevano, si continuava a coltivare
testardamente i campi, nei pascoli le greggi belavano sempre, non
cessavano i colpi d’ascia né spariva il fumo delle carbonaie nei boschi,
oggi con i vari ristoranti a griglia, ridiventate di moda. Nessuna
distruzione bellica, né violenza fascista, non gli incendi dei villaggi
carsici e nemmeno la fucilazione di gente inerme poterono scacciare la
poca gente decisa comunque a continuare a vivere in quella terra in cui
avevano messo radici.
Focolari spenti e tetti crollati...
Dopo gli anni di tenebre
e di disperazione della Seconda guerra, quand’era risorta la speranza di
tempi migliori, la gente anche di questi posti fu travolta dalla fiumana
che andava distruggendo tutto quello che era stato creato per secoli, e
cioè cominciò ad abbandonare la Ciceria. Come da altri territori anche
da qui se ne andavano nelle fabbriche mentre i campi si trasformavano in
boscaglia, ci si trasferiva negli enormi casamenti delle città, mentre
le case nei villaggi andavano in rovina.
Ha scritto Miroslav
Sinčić: “La Ciceria ha perso così la sua gente. Ne è rimasta poca, la
maggior parte dei focolari si è spenta, molti tetti sono crollati. Ma è
rimasta la bellezza del paesaggio, sono rimasti i campi carsici e le
foreste, è rimasta la montagna, è rimasto il territorio, così intatto e
seducente, unico per quella sua singolare posizione che sfiora la volta
celeste ed è a due passi dalla mitezza marina. Qui si concentrano le
verticali istriane. Tutte. Senza la Ciceria l’Istria non sarebbe sé
stessa. In nessun senso. È una costante che potrà prevalere solo quando
alla ragione sarà offerta un’altra occasione. Allora anche la Ciceria
tornerà a nascere e uomini e aquile vi faranno ritorno”.
Tratto
da:
-
La Voce del Popolo, 26 luglio 2008 -
https://www.edit.hr/lavoce/2008/080726/speciale.htm
&
PDF file
Note:
* The Croatian names of these towns were
misspelled in the original article. The texts in green font are the
alternative names. Except in the case of Veli Mune, they are the former
Italian/Austrian names. |