La scarsità di
documenti ne rende difficile la creazione di un profilo
storico
Valdarsa, la tradizione e la cultura dei Cici
In uno dei soliti vagabondaggi
per l’Istria, questa volta ci siamo spinti lungo l’alta
Valdarsa per poter visitare i paesi dei Cici, non quelli di
Mune e Žejane, ma quelli di Nova Vas e di Sušnjevica. E così
da Vozilici abbiamo infilato la stradetta pur asfaltata ma
che a tratti sembrava un sentiero che ci portò dapprima a
Stabljevac, poi a Kožljak, a Zagrad, a Načinovići, a
Skavreti, a Nova Vas per arrivare finalmente alla meta più
importante della nostra gita: Šušnjevica.
Un passato pieno di
contraddizioni
Creare un
profilo storico degli Istroromeni è un’impresa tutt’altro
che facile: la quantità di documenti antichi di cui si
dispone è piuttosto scarsa, soprattutto per la mancanza di
fonti primarie, non esistendo una tradizione scritta
letteraria stabile, ma anche per le contraddizioni insite
nelle poche fonti di cui si dispone. Proprio in questo
contesto, sono state formulate ipotesi tra le più svariate.
C’è il cronista Ireneo della Croce (XVII sec.) il quale
afferma che gli Istroromeni sono giunti in Istria sulla base
della pressione dell’Impero Ottomano; lo storico triestino
Covaz, invece, sostiene l’origine italica come esempio
particolare della conservazione della lingua latina; il
Kandler a sua volta conferma l’origine romana sostenendo che
i romeni istriani sono dei coloni trasferiti da Augusto.
Altre teorie,
più verosimili, sostengono invece che si tratti di
popolazioni che si sono spostate verso occidente seguendo
gli spostamenti delle loro greggi. La denominazione di
queste popolazioni dell’Istria resta ad ogni modo abbastanza
vaga fino al 1463, quando per la prima volta in un documento
si parla di Cicci. Con il passare del tempo la loro storia
diventa più precisa tanto che a partire dal XVIII secolo
diventano Cici solo gli abitanti dove si sono stabiliti in
maggior numero e dunque nei dintorni di Žejane e di
Šušnjevica.
Quando l’Istria diventò
quasi un «deserto»
A partire dal
XII secolo iniziò nell’Istria l’espansione di due grandi
potenze: quella veneta e quella asburgica che dovevano
portare nel corso di diversi secoli a dure lotte e grandi
sofferenze per il popolo. In questo periodo, le condizioni
economiche andarono peggiorando a causa delle guerre e delle
continue epidemie di peste e di malaria al punto da
spopolare quasi completamente vasti territori. La situazione
era talmente grave che nel 1375 la Serenissima affermava che
“l’Istria ormai è da considerarsi un deserto”. Si poneva
perciò il problema del ripopolamento di tali terre e quindi
si favorì la forte migrazione di popolazioni provenienti dal
sud-est dei Balcani.
A differenza di precedenti invasioni che avevano avuto
carattere militare, queste migrazioni pacifiche derivarono
dalla necessità di fuggire davanti la dominazione turca. Tra
questi nomadi vi erano gruppi di Bosniaci, di Erzegovesi, di
Greci, di Albanesi e di Romeni. Mentre nel corso dei secoli
i primi si sono completamente slavizzati, i Romeni hanno
conservato la loro lingua anche se parecchio decaduta,
ovvero quello che resta di quella antica che, a detta degli
studiosi, “non è certo il romeno di Bucarest perché si è
bastardato nel tempo, come i cognomi”.
I primi insediamenti
Risulta,
comunque, che l’insediamento nella parte settentrionale
dell’Istria è unico tra il XIV e il XV secolo. Inizialmente
questi romeni, con le loro greggi si stanziarono nei pressi
del monte Šija (Sega in italiano, nel comune di Mattuglie).
Una parte discese verso nord formando Jeiani (la Žejane di
oggi), i rimanenti si spostarono a sud, nella zona dell’alta
Valdarsa, cioè sopra quella paludosa dell’allora lago di
Cepich. Non risultano chiari i motivi che indussero questa
popolazione a dividersi. Ci restano tre leggende. Secondo la
prima, sette famiglie avrebbero accettato l’invito delle
suore benedettine del convento ai piedi del monte (il nome
di Mune deriverebbe da nune = suore in romeno), assegnando
loro terreni e facendoli lavorare come servi della gleba,
mentre le altre famiglie avrebbero preso la strada della
Valdarsa. La seconda versione dice che, essendo cessato il
pericolo turco, alcune famiglie se ne andarono alla ricerca
di terreni più fertili mentre la terza leggenda racconta che
i Romeni furono costretti a scendere a valle per sottostare
a un maggior controllo in quanto autori, per necessità o
forse per vezzo, di abigeato, razzie cioè e furti di
bestiame nei villaggi pedemontani dell’Istria.
Il commercio di carbon
dolce e aceto
Sin dal loro
insediamento e fino alla Seconda guerra mondiale, queste
popolazioni hanno esplicato un’attività agricola e pastorale
nonché quella di carbonai e di commercianti di carbon dolce
e di aceto. Sia a Žejane che a Šušnjevica si ricorda ancora
come l’aceto venisse procurato durante i pascoli invernali
nella bassa Istria grazie allo scambio di latte, di
formaggio, di agnelli e di lana. Poi tutto questo ebbe una
contrazione, soprattutto dopo la Prima guerra mondiale,
quando l’aceto si cominciò a produrre e a imbottigliare su
scala industriale e anche la produzione del carbon dolce
dovette diminuire date le nuove tecnologie impiegate nel
riscaldamento. E fu così che agli inizi del XX secolo molti
giovani si videro costretti a emigrare. Ma il peggio arrivò
dopo il secondo conflitto, quando quasi tutti i paesi e i
villaggi della Ciciaria vennero bruciati a causa del legame
della popolazione con i partigiani. Solo a Male Mune vennero
bruciate 98 case e 85 stalle...
Una struttura patriarcale
Un tempo
questi villaggi avevano una struttura patriarcale-religiosa
tipica che oggi praticamente quasi non esiste più. Ma ancora
all’interno delle famiglie esiste sempre un grande rispetto
per i vecchi che vivono in casa con i figli. Siccome non
esiste alcuna tradizione scritta ma solamente remote
leggende, storie e canzoni trasmesse da padre in figlio, si
può dedurre che nel passato non esistesse un’autorità unica
ma un consiglio degli anziani per pratiche di vario genere:
religiose, morali, di lavoro. Il riunirsi all’osteria,
parlare e cantare le quasi ossessive nenie su antichi
racconti e tradizioni romene, era una pratica costante che
indicava appunto il rispetto per gli anziani.
C’è poi
un’altra caratteristica della quale abbiamo discusso con
alcuni Cici durante la nostra pur breve visita nell’alta
Valdarsa: l’atavico campanilismo tra Žejane e Šušnjevica.
Comunque tutto quel che sanno della loro origine è confuso.
Affermano soltanto che sono venuti da lontano. E tutti
ricordano con un certo orgoglio che nel 1910 le comunità
istroromene si incontrarono ad Abbazia con la regina romena
Carmen Sylva.
Andrei Glavina, una figura
di cui andare fieri
Ma c’è un
altro personaggio di cui i Cici di Šušnjevica vanno fieri.
Costui è Andrei Glavina. Nato a Valdarsa nel 1881 da una
famiglia umile di contadini, viene prelevato dal suo paese
natale e portato in Romania dal grande linguista Burada –
era arrivato qui per i suoi studi – perché imparasse la
lingua romena standard frequentando i più prestigiosi
collegi nazionali. Nel 1901 egli ritorna in Istria dove
ottiene l’abilitazione alla docenza della lingua italiana e
romena ma la sua figura inizia ad assumere un ruolo maggiore
nel primo dopoguerra quando istituisce con l’apporto di
insegnanti romeni e italiani la prima scuola istroromena la
quale insegnerà a oltre 100 alunni i fondamenti non solo
della lingua italiana ma anche di quella romena con lo scopo
di poter finalmente conoscere le loro origini.
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La diga che regola il corso della Boljunčica
all'inizio della Valdarsa |
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Il paesino di Stabljevac sotto i roccioni del
Carso Liburnico |
Il Glavina
diventa anche sindaco di Valdarsa e ci rimane fino al 1935
adottando come simbolo del proprio municipio la Colonna
Traiana, proprio per sottolineare il legame storico del
territorio con Roma e con la Romania. Ancora un punto a
favore del Glavina: dà inizio all’ingente opera di bonifica
del lago di Cepich che si trasformerà in breve tempo in un
territorio agricolo molto produttivo.
Gli anni bui e i giorni
nostri
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La
più vecchia casa del paese |
La Seconda
guerra mondiale e il periodo successivo sono dei periodi
abbastanza bui. L’interesse letterario per i Cici e i
Ciribiri [no, "Ciribiri" riferisce alla
lingua, non la gente] va scemando col
passare degli anni. Poi c’è la questione dell’esodo. Molte
famiglie optano, vanno in Italia e successivamente negli
Stati Uniti e in Australia [e Italia,
Canada, Germania, Svezia, Francia, e altri paesi del mondo].
Costruire un profilo demografico e linguistico di quante
persone effettivamente ancora conoscano (seppur
passivamente) il dialetto istro-romeno è un’impresa del
tutto impossibile perché i dati sarebbero incompleti da
qualsiasi punto di vista. I Cici sono rimasti in pochi e
utilizzano l’istroromeno a fianco della lingua croata che
prediligono – ce ne siamo accorti durante la nostra breve
sosta – nella maggior parte delle situazioni comunicative.
D’altra parte il processo di sostituzione della loro parlata
con il croato è un processo che ormai si può considerare
concluso, soprattutto a causa del fortissimo apporto
“istruttivo-distruttivo” delle scuole. Ma nonostante ciò
continua a sopravvivere una radice tradizionale che resterà
senza alcun dubbio indelebile e continuerà a conservare i
nomi dei luoghi, dei fiumi, dei villaggi, che in silenzio,
forse disabitati, rimarranno custodi della tradizione e
della cultura dei Cici e dei Ciribiri
[should be Vlahi].
Là dove il tempo si è
fermato...
Per finire
torneremo a Šušnjevica. Il paese conserva ancora i tratti
principali che hanno contraddistinto la sua storia, come i
tetti spioventi e le piccole stradine che congiungono le
varie abitazioni. In certi momenti sembra che il tempo non
sia trascorso in questi ultimi anni, che tutto sia rimasto
come un tempo se non per l’asfalto sulla stretta strada e
per alcune case ricostruite di recente seguendo uno stile
decisamente più moderno, sempre comunque rispettoso della
terra in cui si trovano. Però ci sono anche molte case
disabitate, la maggior parte delle quali in pessime
condizioni. E allora non ci resta che infilare nuovamente la
strada e lasciarci alle spalle la tabella con la scritta
“Šušnjevica – Susnieviţę” e raggiungere dapprima il paese di
Romanija, poi Vragna e alla fine il tunnel del Monte
Maggiore.
Tratto da:
- La Voce del Popolo, 31
dicembre 2009 -
https://edit.hr/lavoce/2009/091231/speciale.htm and
https://edit.hr/lavoce/2009/foto/reportage091231.pdf
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