[Tratto da: L'Italia all'Estero,
1 aprile 1887.]
Sono già passati venti anni dacchè i
poveri romeni d'Istria fecero un primo appello disperato agli
Italiani di quella penisula, per chiedere loro valido e fraterno
aiuto contro i comuni oppressori. E gli Italiani allora non poterono
far nulla o ne! loro cuore non trovò nessuna eco il grido di dolore
di quella povera gente.
Così questa colonia dì contadini latini emigrati
nell'Istria nel X secolo pare destinato a sparire miseramente, sotto
l'opera assimmilatrice degli Slavi, ed a diventare fatalmente ostile
a quelli, che essi chiamarano sempre fratelli; fratelli, che non li
vollero, o non li seppero mai aiutare.
Qualcuno certamente dirà che spetta alla Romania un tale compito.
Ahimè! Troppo lontana; dai figli emigrati è la madre patria e in
condizioni tali da non potere in alcun modo soccorrere quei figli,
da cui non le deriverà nessun profitto.
Guai a coloro che la sorte avversa perseguita; Vac victis!
È un vero delitto, mi diceva a Roma tempo fa il consolo di un
piccolo Stato slavo, è un vero delitto lasciar perdere questi romeni
d'Istria, il cui tipo, si può dire, è la perfetta riproduzione degli
antichi romani! basta infatti osservare un busto antico per rimanere
colpiti dalla grande assomiglianza.
Riproduciamo qui i due appelli che i Romeni istriani
indirizzarono ai fratelli italiani, nella speranza che almeno dopo
venti anni, il loro grido disperato riesca ad impietosire il cuore
di coloro, cui gli appelli furono rivolti nel santo nome della
comune madre patria e il dell'umanità!
AGLI ITALIANI D'ISTRIA (1).
Fratelli Italiani,
Come ben sapete, dimora fra voi da secoli una popolazione latina
che non vi fa e non vi ha mài fatto del male. Questa popolazione è
senza tregua tormentata da ogni sorta di sventure e non si lagna;
paga le imposte ohe le si richiedono e non si lagna.
Sono già
passati venti anni dacchè i poveri romeni d'Istria fecero un primo
appello disperato agli Italiani di quella penisula, per chiedere
loro valido e fraterno aiuto contro i comuni oppressori. E gli
Italiani allora non poterono far nulla o ne! loro cuore non trovò
nessuna eco il grido di dolore di quella povera gente.
Tutti ci hanno dimenticati, soltanto voi a quando a quando ve ne
rammentate nei vostri senza però decidervi fin'ora a prestarci mano
fraterna di aiuto, perchè possiamo anche noi ottenere il risveglio
nazionale che l'umanità e il progresso reclamano anche a favore di
noi, poveri abbandonati!
Il nome di romeno, che risuscita così in noi che in voi tanto
memorie di gloria comune, non ha esso forse abbastanza forza per
farvi decidere a venirci in aiuto nell'estremo momento della
necessità?
Fratelli Istriani, nel santo nome della comune madre patria, vi
preghiamo di non rifiutarci questo aiuto che la giustizia e l'equità
domandano.
Noi, da quando esistiamo al mondo, non abbiamo mai avuto scuole.
Da anni ed anni siamo costretti a pregare Iddio in una lingua
straniera in cui ci si tengono anche le prediche.
Forse qualcuno crederà che l'abbandono della nostra lingua e la
dimenticanza di qualunque tradizione della nostra origine
procederanno così rapidamente da far sparire in poco tempo le orme
stesse di questi luoghi infelici!
Speriamo però che voi, amati fratelli, alzerete la vostra voce a
chi di ragione, per redimerci dalle miserie intellettuali e morali.
ALL'ALTA DIETA DELL'ISTRIA (2).
Nella Vlasia vive da centinaia di anni, stretta da!le
calamità degli elementi e dall'ignoranza intellettuale, ma sempre
onesta, sempre mite e docile, una popolazione la quale di giorno in
giorno va perdendo sempre più il più santo carattere, la lingua e la
nazionalità.
Nè agli abitanti di Jeiane, nè a quelli di Susevizza,
Bârdo, Letai, Grobnico, Vilanova, Gradine e Jesenovic è
permesso di ascoltare nelle chiese la parola di Dio nella propria
lingua o almeno in un'altra affine alla loro; l'istruzione dei loro
cari figli non è loro permessa che in una lingua straniera. Nel
villaggio di Jeiane più di 60 ragazzi romeni sono costretti a
frequentare la scuola di Mune, straniera e lontana.
Non è da meravigliarsi di una situazione così anormale, quando
vediamo che nell'ultimo censimento fatto dalle autorità comunali
rispettive non si constata l'esistenza di un sol romeno. Nei comuni
situati alle falde del Monte Maggiore non vi esiste neppur l'ombra
di qualche scuola romena o di prete romeno; solo le nostre
donne custodiscono le care reliquia che debbono difendere contro la
dimenticanza.
Noi preghiamo rispettosamente questa Alta Dieta istriana di
impietosirsi e venirci in aiuto.
Susnevizza 1887.
Sever De la Danubius
Note:
- Il giovine pensiero, n. 17 dei 26
novembre 1887.
- Il giovine pensiero, n. 18 del 26
ottobre 1887.