Dei Cici la strana
schiatta
Elio Predonzani
English
[Tratto da: © L'Arena di Pola,
6 april 1949, p. 3 - http://arenadipola.com/articoli/3682.]
Come da noi sopra
Trieste si
osserva il ciglione corrente dal nord ovest a sud-est, il
quale delimitava verso L'Adria l'altopiano del Carso, così
proseguendo nell'Istria per questo ciglione — fattosi sempre
più alto — delimita nelle zone di
Pinguente e di Rozzo in
Tavoliere carsico detto dei
Cici.
È una regione caratteristica, per
molti riguardi anzi singolare, che giunge alle falde del
Monte
Maggiore. Essa a tratti boschivi, dove domina il faggio e da
estensioni brulle, magre, vere sassate, mera esposizione degli os
sami
carsici. In questa breve povera regione abita una delle popolazioni
istriani oggi classificate fra le slave, per cui storia è però
alquanto complessa.
Sull'origine dei
Cici come
sulla derivazione di questo nome che hanno assunto
nell'isteria molto si è scritto e tante furono ipotesi.
Sembra agli studiosi la più attendibile tra le opinioni
quella avanzata da T. Peisker. Egli li accomuna alla stirpe
dei Morlacchi che i latini chiamarono latini nigri e che gli
slavi dissero vlasi. Ripetiamo dunque ciò che il
Peisker si ha raccontato:
I morlacchi attualmente
sparsi in più luoghi fra
Trieste e i confini dell'Albania
erano in origine pastori nomadi turanici immigrati fra il
400 e il 500 nella Penisola Balcanica. Durante due secoli
successivi riuscirono conpletamente romanizzati. Ma
ricominciare un movimento di trasmigrazione passarono nella
Mesia superiore, nella Dardania, nelle due Trace transdanubiane. Come si
avvicendavano i secoli, gli si trovava su terre sempre
diverse: prima nella Bosnia, poi in Macedonia. Di qui, a
ondate grosse, si trasferirono durante la seconda metà
del secolo XIII sulle coste dell'Adriatico.
Abbiamo notizie sicure di
questi vlachi o valacchi o romeni fin dal 1530. E in
Istria
fu coniato e rimase in nome di
Cici o
Cicci.
Perché furono
detti così? Forse da ciccia che in valacco significa cugino,
ed è intercalare da essi usata non interpellandosi a
vicenda, come altrove si dice compare o barba
(Istria), o brate (fratello in Dalmazia).
Forse invece dall'uso frequente della c pronunciata sonora nel
loro discorso.
Sia come si vuole è
importante sapere che quando gli altri Morlacchi immigrati
in un territori adriatici erano già slavizzati, questi
nostri
Cici mantenevano ancora vivo in linguaggio
neolatino (romeno), tanto che solo quarant'anni fa, interrogando noi
ragazzi qualche cicio sceso dal suo tavoliere nei nostri
paesi col carico di carbone: «di che razza siete?» Ci
sentivamo rispondere «Ruman». E aggiungevano di avere portato
a vendere carbuna (carbone). I
Cici, originari pastori, sono diventati
di fatto fabbricatori di
carbone di legna in tutte le zone
boschive della
Ciceria.
Scendevano a vendere il loro
prodotto così nell'Istria come a
Trieste, con grandi
carri
trascinati da
cavalli ed erano vestiti del loro tradizionale
e rozzo inconfondibile costume.
Oggi poco sono i rumeni
dell'Istria che parlino più la loro lingua. E anche pochi
superstiti bisogna cercarli fuori da
Ciceria in sette paesi
del Comune di Valdarsa dove perdono rapidamente terreno e
saranno in breve assorbiti come gli altri dalla vicina
nazionalità. La popolazione del tavoliere si è assimilata
nel corso degli ultimi due secoli il linguaggio della stirpe
croata mista alla serbica (serbo-croata) comune agli slavi che stanno
fra la Dragogna e il Quieto, ai Liburni che vivono al di là
dei Vena agli slavi dell'Albonese e della Valdarsa a quelli
delle isole del Carnaro. Ma il tipo della popolazioni di
Ciceria nonostante la lingua ricorda ancora il tipo romano.
Sono gente di temperamento focoso, d'ingegno sveglio e
pronto, di atteggiamenti animati. Soprattutto i lineamenti
del viso e il portamento della persona concorrono a
distinguerli dagli slavi.
Furono i Morlacchi a portare i
mezzi propri isolare fin dall'antichità e pittoreschi comuni
ornati del gentile ricamodei vivaci colori ben armonizzati.
Ma i
Cici hanno ridotto loro costume qualche cosa di più
semplice e meno vistoso. Restano un capitone di lana pelosa
bruna senza collare, nei risvolti, né maniche, se non
talvolta la sola manica sinistra. I loro calzoni sono
aderenti alle gambe ed entrano con l'estremità inferiore fin
dentro alle calze. Il copricapo consiste in un berretto
cilindrico e basso senza attesa o visiera, di solito fatto
di panno. Sotto il giachettone hanno camice o maglioni di
lana. Anche calzoni sono di lana, bianca e pelosa, e tutto
il vestiario e di fattura casalinga.le scarpe sono una bella
opanca: una suola che s'adatta alla pianta del piede e
termine in punta sul davanti, dal cui margine rialzato parte
tutto con lineare disegno di striscioline di pellerossa che
copre il dorso del piede e s'intreccia sulle caviglie. Per
ripararsi dal freddo più intenso si provvedono di una
coperta di lana che ha i margini sfrangiati. La donna ha
pure un cappotto, simile al giachettone del maschio, ma lungo
fino al polpaccio. Si copre la testa con un fazzoletto
frangiato a colori. Sotto il cappotto ha una veste chiusa in
cintura e si lega intorno ai fianchi un cordiglio
Gli slavi
di stirpe serbica che gli istriani chiamavano morlacchi sono
gli abitanti di zone interne fra il Quieto e l'Arsa. Il
loro costume non si diversifica granché da quello dei
Cici
ma è portata con minor grazie. Questi serbi che si trovavano
in uno stato di cultura più arretrata degli altri slavi
istriani sono stati trasportati dall'Erzegovina e dalla
Dalmazia nei secoli XVI e XVII.
Varia è l'Istria per quantità
di stirpi e tali da superare forse al riguardo ogni altra
terra di così piccolo spazio. I ceppi linguistici che essa
ospita si riducono bensì a due principali,
l'italiano vi si presenta formato d'un'unica stirpe
compatta, originaria, antica almeno quanto la romanità
imperiale, lo slavo si divide a suddivide in più stirpi
dissimili pero origine, per lingua, per tradizioni e
costumanze, e persino (come il gruppo montenegrino ortodosso
di Peroi presso
Dignano) per religione. Ci sarebbe da
fare un trattato. E vedremo sfidarsi davanti i Beschini e i
Savrini della strada di
Fiume e nelle terre fra i Monti Vena
e la Dragogna; i Tucki (stirpi sloveno-croato) del
Pinguentino, i serbo-croati e i serbici di cui abbiamo detto
più su.
Oggi i costumi popolari sono
scomparse le popolazioni dei villaggi delle borgate
finiscono con l'apparirci tutti uguali. Doveva essere bello
un tempo per correre nello spazio di poche ore strade
relativamente brevi, passando in mezzo a gente vestita di
fogge diverse, dalle monotone alle vivaci, da legare e alle
leggiadre, dalle rose alle eleganti. Sarebbe bastato per
questo farsi trasportare un secolo fa con una carrozza di
posta da
Trieste a
Pirano, da
Capodistria a
Pisino, da
Parenzo ad
Albona, o da
Pola a
Rovigno. La varietà avrebbe
potuto accontentare il più e incontentabile fra gli
appassionati di etnografia e di folclore.
Elio Predonzani
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