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Photographs by Marisa Ciceran
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Ciribiri oggi, domani
chissà
Versione
carta -
Foto album
25 luglio 1998
Difficile dire in quanti fossero, domenica scorsa
[19 luglio 1998] a
Brdo. Certamente qualche
centinaio, nuovamente insieme come decenni addietro, prima di partire, sotto il
sole che picchiava nel piccolo spiazzo a lato della chiesa e con al centro il
campanile. Una verticale bianca, immacolata sul cocuzzolo, che si rivela e
nasconde così come procede la serpentina che si infila tra i rilievi che fanno
da sponda occidentale alla vallata di Čepić: quel candore sembra un miraggio di
refrigerio nell'arsura di luglio che fa campagna non riesce a smorzare. Deve
apparire e scomparire, a seconda della loro posizione, anche agli abitati e ai
casolari disseminati intorno, rannicchiati tra le anse dei pendii o posati sui
rari tratti piani della scomposta ma dolce geografia collinare. La sua campana,
dicono, era quella che si sentiva più lontano, in armonia con fa posizione
dominante della costruzione. Dal mio villaggio lo vedo diritto di fronte, fa Edo
Smilovic. E' stato il coordinatore di una colletta per rimettere a nuovo il
campanile, l'adiacente chiesa di San Giorgio e alcune cappelle. Oltre centomila
dollari sono stati raccolti in prevalenza negli USA, a New York e a New Jersey,
ma anche in Canada, Australia, Italia. Là dove vive ormai fa maggioranza dei
paesani di
Brdo, Letai, Kostrčani,
Sušnjevica,
Čepić,
Nova Vas, Gradinje...
Borghi e poderi in origine abitati dai Cicci, Ciribiri, Istrorumeni: nomi
diversi per indicare la popolazione che secoli addietro si era insediata nella
vallata e sulle alture intorno. Restano adesso case diroccate e murature
divorate dalla vegetazione a ricordare l'esodo.
Chi sembra invece opporsi alle devastazioni del
tempo sono i Cicci convenuti all'appuntamento. Cè gente che continua a
frequentarsi a New York, si vede di tanto in tanto al club degli Istriani, ma
per tanti e' una riscoperta. Trapiantati dalla campagna alla metropoli,
all'inizio quasi tutti vivevano nel quartiere Astoria [no,
i primi immigranti dopo la seconda guerra mondiale vivevano in Manhattan, Brooklyn e anche Bronx,
non solo
Astoria], gli uomini
finivano nelle cucine dei ristoranti a lavare i piatti, le donne a pulire scale
e uffici [no, fra i primi molte lavorarono nelle "sweat shops" di
abbigliamento, e altre fattorie], prendevano quello che gli americani disdegnavano; non
erano molti coloro che avevano varcato l'Atlantico con l'esperienza di un
mestiere di città. Gente laboriosa, ostinata, paziente; con gli anni scalavano
qualche gradino nella scala sociale, avanzavano sul posto di lavoro; i figli,
come nelle storie delle immigrazioni di tutto il mondo, andavano fatti studiare,
dovevano guadagnarsi un titolo, o una qualifica e così risparmiarsi la pazienza
dei lunghissimi anni di sgobbo pagati dai genitori per accedere all'American
way of life.
La comunità conseguentemente si e' un pò
dispersa, dall'Astoria
[no, anche Manhattan e Brooklyn]
ad altri quartieri, la seconda generazione ha messo su famiglia, molte
volte con il coniuge dei paesi tuoi, ma naturalmente ci sono stati anche i
matrimoni misti. I nipoti sono ormai indistinguibili dai loro coetanei,
americani d'Istria mescolati nel melting pot, il calderone etnico degli
Stati Uniti. A casa in molti continuano a parlare il dialetto croato del luogo
natio e i più anziani ìistrorumeno, ma le situazioni della vita e la corrente
del tempo stanno inesorabilmente sfilacciando la collettività. Per cui domenica
scorsa, affermano, e' stata un'occasione irripetibile, mai in così tanti
assieme, mai poter insieme ritrovare se stessi e gli odori, i colori, il senso
della loro terra. A rinfrescare ricordi, scoprire nella fittissima rete di
parentele ancora altri cugini, recuperare episodi dell'infanzia, incontrare chi
ha assistito alla tua nascita, aggiungere un personaggio o un avvenimento alla
saga familiare. Ma appaiono in primo luogo loro stessi impersonare le memorie di
una comunità istriana che vive in America, ma la cui struttura del corpo, i
lineamenti del volto, l'andatura, i gesti hanno resistito all'America.
Con la forza e della lingua, con la tenacia e
probabilmente la disperazione dei ricordi cristallizzati, con le eredità minute
che generazioni di pastori contadini e carbonai hanno depositato in questi
istriani d'America. Ma che lo sradicamento adesso minaccia di cancellare dalla
geografia etnica della penisola, togliendole una componente unica e
irripetibile. Non e' stata dunque una delle tante rimpatriate, oltre ai motivi
universali degli amarcord di ogni dove questo di Brdo ha permesso di vedere dal
vivo, a due passi da noi e non in Amazzonia, la persistenza e la precarietà di
una distinta identità comunitaria, di secolare esistenza ma che se non succede
qualcosa già domani non cè più.
Nella circoscrizione di Sušnjevica vivevano
ancora nel 1946 millecinquecento anime, ora saranno circa cinquecento. In comune
e' quello di Kršan, 3500 abitanti, 125 chilometri quadrati, il secondo per
grandezza nella penisola. Per l'occasione e' stata asfaltata la stradina che si
arrampica sul colle di
Brdo [nome storico: Berdo/Birdo].
Che, si sa, vuoi dire monte, ma la toponomastica italiana chiamò Briani. Il
sindaco Leonardo Fable e il presidente di giunta Josip Kontuš spiegano che il e'
il più ricco in Istria in quanto a monumenti culturali dal XII al XIV secolo. E'
stato appena pubblicato un elegante depliant bilingue, in croato e italiano. E
gli istrorumeni dove li vogliamo mettere, tra i monumenti da salvare o tra
quelli da abbandonare? Cè un circolo istrorumeno in Italia ma non vi sono
contatti. E l'iniziativa partita due anni fa proprio da Sušnjevica? Mari e
monti, poi niente, inoltre volevano politicizzare. n comune allora? Questa ećè
una lingua di casa, di famiglia: tenteremo di registrare la parlata, gli usi. Si
interessa anche Bucarest. La scorsa primavera e' venuto l'ambasciatore Costantin
Gilda, una decina di giorni fa il console Aleksandar Rus, promettono di aiutare.
Due intellettuali tre teorie, capita anche quel
giorno. E sono almeno due contrastanti interpretazioni: secondo una i Ciribiri
provengono dalla lontana Dacia, per l'altra si tratta di una popolazione
dinarica che niente ha da sparlire con i romeni. Quelle erano storielle dei
tempi bolscevichi, buona scusa per mangiate di pesce a Brioni, a tavola Tito e
Ceausescu. Il concerto delle Cicale fa da indifferente colonna sonora. Nel caldo
torrido l'ombra degli alberi e gli ombrelloni non basta. A celebrar messa e' il
vescovo di Parenzo, da Fiume e' venuto il Coro dei Salesiani. I festeggianti
festeggiati parlano tra loro in ciribiri, croato, italiano, inglese. Ive e'
anche Giovanni, Giuseppe pure Josip e anche Pepić. Krsan ovviamente Chersano,
Nova Vas chiaramente Villanuova, Čepić e' in accoppiata con Felicia. Cè chi
ritorna ogni anno, ora che e' in pensione, rimane per qualche mese e dà una mano
per rimettere in sesto la vecchia casa, in qualche frazione cè ancora la strada
bianca e l'acqua dal pozzo, ma ci si e' abituati, cinquant'anni fa. Accanto al
campanile una grossa betulla dai rami monchi ma dalla folta chioma, a detta del
parroco Zorić ha almeno 300 anni, cinquecento azzarda un paesano. Comunque più
vecchia del campanile bicentenario, ma meno delle strutture più antiche della
chiesa, dieci secoli di età. E destinata a sparire questa singolare etnia del
microcosmo istriano? Così come scompaiono le cosiddette lingue minori, le tribù,
le differenze che diventano poco importanti e troppo costose...
La loro e' una storia di oppressioni, sostiene lo
psichiatra con le radici del posto, tendono alla depressione, alla malinconia.
Tantoche hanno finito per assimilarle come un tratto della loro identità, un
'identità in negativo. Le stratificazioni di linguaggi, nomi e cognomi con cui
sono stati coperti nei tempi finora non sono riuscite a soffocarli, e nessun
ristorante di Brooklyn e' stato capace di modificare quei volti e quei gesti. Ma
adesso? Hanno un futuro questi totem viventi, ormai punti di riferimento
soltanto a se stessi e pochi altri.
Quel giorno a Brdo si mangiava cevapčići, si
beveva birra e Coca Cola, e' sparito anche un portafoglio
(nota).
Qualcuno ha detto di aver visto uno zingaro. Sarà vero? Domenica prossima,
domani, l'appuntamento e' per un 'altra chiesa restaurata, quella di Sušnjevica.
O Susgnevizza, o Valdarsa. Poi sarà un altro giorno.
Ezio Mestrovich
Note:
- Le note di sopra in blu sono da Marisa
Ciceran;
- "Il
portafoglio sparito" era il mio che era poi ritrovato nella borsa
della mamma (dove lei lo aveva messo senza farmi sapere - una lunga
storia ora da ridere, quel giorno da piangere come ero talmente
trattata quasi come un criminale invece di vittima.
Vedete anche:
Tratto da:
- Ezio Mestrovich, "Ciribiri oggi, domani chissà", La
voce del popolo, 25 luglio 1998 (dalla versione carta, questo articolo
non apparse sul sito web). Cortesia di Nerina Antonelli, Rijeka.
- Fotografie - cortesia di Marisa Ciceran
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