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Al molto reverendo Signore
Don Matteo
Musina, paroco di Vragna.
[Tratto da:
L'Istria, No. 3, 10 gennaro 1946, Trieste, I. Papsch &
Comp.Tip. del
Lloyd Austriaco, p. 12.]
La lapida che la Riverenza Vostra mi ha favorito in esatto
apografo mediante il sig. C. D. F. non poteva scoprirsi in
circostanza più propizia, nel momento cioè in cui il sig.
A. Covaz
ci faceva conoscere l' esistenza di una lingua romanica
tuttora parlata nella Valdarsa, lingua che è preziosissimo avanzo di
antichità, non meno che bronzi o
marmi scritti. Se non erro, essa sciolti i nessi, va
letta IRIaEaE VENERI Cajus VALErius OPTATI Filius et FILIICVLA
Votum Solverunt
Libentes Merito. Le piccole
dimensioni dell'aretta, larga appena le sei oncie ed alta le 8-3/4,
assicurano che servisse a culto domestico, siccome la forma delle
lettere ci assicura che risale a tempi della repubblica romana, e
che fra le più antiche della provincia va collocata. Grandissimo
piacere mi arrecò tale inscrizione, perchè anch' io ho lunga pezza
seguito la volgare credenza che l' interno della penisola e
le parti montane mancassero del tutto di romane antichità;
quando all' invece non vanno prive,
ma pur troppo si fa di loro mal governo,
perchè tenute a vile e non più che materiale da
fabbrica, che di calce si ricopre. Le sollecitudini della Riverenza
Vostra nel ricuperare la pietra come sono degne di lode, perchè
testimonio di affetto alla terra natale, sono degne pure di venire
imitate. Or io poche cose le dirò perchè scarso è l' ingegno.
L' aretta
rinvenuta a Jesnovico presso
l'Arsa a piede del Monte Maggiore, non fu certamente
portata da altrove, che di tali commerci non vi ha in quelle regioni
frequenza; la famiglia Valeria cui pertiene la persona che dedicò l'
ara, sciogliendo un voto fatto, non è nuova in questa parte stessa
d'Istria, trovandosene menzione in
Pedena medesima, presso Montona ed altrove. Il voto veniva sciolto a
Venere Iriea, epiteto di località, desunto dalla città di IRIA già
nella Liguria, ora Voghera piemontese, che non era raro il vedersi
attribuire maggiore estimazione ad antiche divinità, dal luogo di
qualche loro celebrato simulacro
o di speciale culto. In queste
nostre regioni circostanti potrei citarle un Silvano, una Bona, i
quali trassero il nome dal luogo di Castra,
cittadella a
piè
delle alpi, nel sito che or dicono S. Croce di Vipacco, malamente
credute divinità di accampamenti militari.
Il motivo che persuase questo Valerio nostro a speciale culto
alla Venere di Iria, mentre in regioni sì lontane e dispartate
abitava, non da altro saprei dedurlo se non da ciò che fosse nativo
di IRIA o
vi avesse fatta lunga dimora, trapiantato poi in
Istria. Questo Valerio era ligure, per ragione del suo luogo natale.
L'anonimo che dettò i dialoghi sulle antichità di Pola
(diligentissimo raccoglitore) ci tramandò la tradizione che Augusto
avesse fatto smantellare Pola da soldati liguri, e l'avesse poi
ripopolata di coloni novelli. Nei cenni su Pola aveva fissata quest'
epoca al 42 av. G. C. al tempo delle
guerre civili, della battaglia di Filippi; la distruzione di Pola
venne confermata dal risultato degli scavi fatti nel
1845, siccome lo ristabilimento di Pola è attestato
dal nome che ebbe di IVLIA
• PIETAS.
A quell' epoca la Giapidia,
la Liburnia non erano romane; la prima era avversa
ed ostile spesso, la seconda alleata; l'Istria formava il confine
dell'impero romano in Italia, confine non sempre sicuro,
che d'improvviso
scorrerie di Giapidi si ha memoria nell' anno 51
e nello stesso 34
in cui vennero domati; la Liburnia divenne romana
appena nel 28.
Alla Riverenza Vostra non saranno sfuggiti quei tanti
castelli, che gradine o
gradishte diconsi dagli Slavi,
castellieri,
gromazze dagl' Italiani, facilmente riconoscibili alla forma
loro per lo più circolare, al vallo tumultuario, li
quali segnano una catena di fortificazioni,
l'
una coll' altra in comunicazione a brevi distanze quasi
telegrafi; una muraglia turrita (della quale si
conservano gli avanzi visibili a piedi del Nevoso) era
destinata a contenere gli irrequieti Giapidi.
E questa muraglia e questi fortalizi vennero costrutti prima che
la Giapidia fosse assoggettata, in tempi nei quali era necessario di
custodire l' estremo confine della dominazione romana contro i
pericoli da di fuori. Appunto dopo il 51
in cui i Giapidi devastarono Trieste vi era tale
necessità, e più che altrove al passo del Monte Maggiore, che era ed
è il più facile per scendere a Pola e
nell' Istria centrale. In Pedena esisteva ed esiste
forse tuttora coperta di calce, leggenda di persona che ostenta la
tribù, e questa tribù non è quella alla quale erano ascritti i
Polensi, ed i Parentini; le poche inscrizioni che della Valdarsa
ebbi ad avere, pretti nomi romani segnano, nessun nome celtico vi è
tra questi; tutto mi porta a conchiusione che un comune, quasi
colonia di militi, vi fosse nella Valdarsa, alla quale Augusto donò
i terreni e che posta fuori di ogni consorzio conservò la lingua
romanica fino a questi tempi, in cui è per dare il luogo alla slava;
e penso pure che simile colonia fosse nella valle di Castelnuovo a
tutela della colonia di Trieste, colonia che per i più frequenti
contatti, prima dei fratelli all'Arsa abbandonò la propria lingua. E
la lapida salvata dalla
Reverenda Vostra autorizzerebbe a sospettare che
liguri fossero i soldati trasportati, e crescerebbe il sospetto il
vedersi prediletta la lettera r in confronto della l, siccome anche
oggigiorno sogliono i liguri; nè ripugna che i latini frammisti ai liguri
propendessero alla pronuncia ligure.
Custodisca, Reverendo Signore, la inscrizione che con sì lodevole
sollecitudine ha ricuperato; essa è preziosa per l'antichità sua, e
per le induzioni a cui autorizza; e se altre venissero a giorno,
come il ritrovo di questa assicura la possibilità, impedisca che
vadino smarrite, almeno procuri averne copia. In qualunque evento mi
tenga nelle sue buone grazie.
Devotissimo
Trieste, 8 gennaro
1846. P. K. |
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Created:
Monday, February 08, 2010; Last updated:
Thursday, March 03, 2022
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